Riprendo e vi propongo, autorizzato dall'autrice Claudia Sassano, il suo scritto del 10 luglio 2018 andando in giro per Catania con il bravo fotografo Franco La Bruna, di cui vi proponiamo alcuni scatti!
Scrive Claudia: “L' anima di Catania si incarna, più che altrove, nei suoi mercati. Quello della Pescheria, ma ancor di più, quello della Fiera. Mi corre, quasi ogni anno, l' obbligo di doverne parlare. Nasce da un moto interiore di meraviglia, che sgorga spontaneo, ogni volta. Percorrendola. È uno spaccato di vita originalissimo, una sorta di mappatura per tipo di individuo, appartenenza di genere, estrazione sociale, grado culturale, oggi anche etnico. È una zona franca ove l'integrazione, almeno in apparenza, sembra aver trovato il suo fondamento. Ieri, durante una mia ennesima traversata, tra l'oceano delle bancarelle e la moltitudine degli avventori, assorta nell'osservazione pittoresca, e rapita dai rumori e dal caos intorno, ho perso di vista, più e più volte, la motivazione che ivi mi aveva portato. Mi rapivano i colori delle merci in vendita, mi traviavano gli odori, forti, pungenti, ora di cipolle arrostite, ora di liquami sparsi per la strada. Mi stordivano le urla degli imbonitori. Sosta obbligata tra le bancarelle delle spezie, poi tra quelle di scampoli e tessuti. Una preghiera, detta veloce, in uno spazio, temporaneamente vuoto, con in mezzo un enorme ghirlanda di fiori. Per il mio caro padre, recita il largo nastro viola che la cinge. Un pezzo di storia che finisce, penso.
C' è poi, più in là, il piccolo banchetto dove Antonio vende i suoi bottoni. Antichi, vecchi, cioè usati. Ecco, li ci resto una buona mezz'ora. I bottoni hanno sempre attirato la mia attenzione. E Antonio ormai è un caro amico. Mi tiene spesso da parte i più belli. I suoi sono tutti diversi. Se ne trovi due uguali sei molto fortunata. Li cerco, li rivolto tra le dita, li osservo, li immagino. Sono grandi, vistosissimi, ne basterebbe uno per abbottonarci dentro la vita. Si, pensò alle vite, contenute nei cappotti che quei bottoni chiudevano. Vecchi cappotti logori, consunti, di povere massaie operose, oppure caldi paltò in chachemir di qualche facoltosa signora della Catania bene. La vita è andata penso, gli oggetti sono rimasti, il bottone, il cappotto; magari buttato sulla bancarella poco più avanti, quella degli abiti usati. Oggi una delle più affollate. I ragazzi, gli uomini, gridano a squarciagola, proponendo la loro mercanzia. Si fanno cenni tra di loro se passa una bella ragazza. Commentano come solo i siciliani sanno commentare, e ricevono risposte come solo le donne siciliane sanno dare.
- Lui: "Bedda nun mi dici nenti?"
- Lei: "Cunnutu t'abbasta?"
(Famose battute del repertorio cabarettistico catanese).
La città di Agata torturata dal suo carnefice, che diceva di amarla ma che voleva solo possederne la purezza. Un carnefice dal cuore più duro della pietra che, ancora oggi, reca l'impronta del suo piede santo. Catania ha un esteso cuore di pietra. Un cuor di duro basalto che la signora "a Muntagna" ha sparso in pezzi, in ogni dove, vomitandolo, troppo spesso, tutto intorno, attraverso la sua bocca di fuoco. Un cuore di pietra che i catanesi hanno saputo far fiorire in splendide architetture. Un nero che sottolinea la bellezza di questa città tutta femmina, mediterranea, così come farebbe una scura linea di kajal stesa sopra un occhio colore dell'ebano.
Claudia Sassano





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